Della madre, approfondimenti

NONNA

Madre che possiede.

Madre che è madre perché mette al mondo. E questo basta.

Madre che sa – non potrebbe non sapere – cosa è giusto e cosa non lo è per i suoi figli.

Madre che dovrebbe smettere di essere madre perché è tempo di fare la nonna. Ma mia figlia, no, mia figlia non la lascio andare via. Nonna che si ostina a fare la madre. Eternamente.

MADRE

Figlia che adesso è madre.

Figlia che vorrebbe andare via ma non sa come. Non vuole sapere.

Figlia che mamma non dirmi sempre cosa devo fare con mia figlia. È mia! Questa figlia è mia, non tua. Io so cosa devo fare.

Io sono la madre. E se non so, madre che gruppi di madri su WhatsApp.

Madre che ho letto su internet che si muore, di vaccini si muore. Madre che ragazze ma voi lo usate il latte vaccino?

BIMBA

Bimba che è figlia, figlia e basta.

Bimba che fai la cacca a mamma. Bimba che fai la cacca a nonna.

Bimba che adesso dormi, perché non dormi? A mamma. A nonna.

E non mangi, questo non lo mangi. Neanche quest’altro. Perché non mangi? Perché non mi mangi?

Bimba che qui, devi restare qui. Non c’è altro posto. In questo abbraccio.

Figlia che, anche se madre, devi restare qui. In questo abbraccio. E non soffocare.

Se non sai fare, stai qui a guardare. Fammi fare, la madre. Ancora. Fammi fare.

E tu guardami fare, guarda il tuo faro, impara a fare. Come la mamma, a fare.

Dopo aver indagato la figura evanescente dei padri contemporanei, il secondo capitolo della trilogia In nome del padre, della madre, dei figli sposta la lente di ingrandimento sulla figura della madre.

Una figura che, per buona parte degli italiani, ha mantenuto costante nel tempo una sorta di sacralità e onniscienza che la rende ingiudicabile, al di sopra del bene e del male, nonostante le lotte di emancipazione degli ultimi decenni per affrancare la società dal modello patriarcale.

Una visione patologica – tutta nostrana – che impedisce a una donna di dichiarare, e sanamente, la propria fragilità di fronte al compito materno, costringendola a dover esser madre “per sempre”.

Mario Perrotta

La maternità non è un’esperienza di centramento ma di decentramento. È la gioia nel vedere il proprio frutto imparare a camminare o a parlare, nel vederlo entrare nel mondo. Ma quando la maternità diventa patologia si passa dalla madre simbiotica dell’epoca patriarcale – la madre che non lascia andare il proprio figlio, la madre del sacrificio che vive la propria maternità come cancellazione della donna e dei suoi desideri – alla madre narcisistica, che vive la maternità come un handicap, una lesione, una ferita al proprio essere donna. Il figlio non è più ciò che completa il suo essere ma è vissuto come un ingombro alla propria affermazione personale. Mentre nella madre patriarcale la madre uccide la donna, nella madre ipermoderna e narcisistica è la donna che uccide la madre. Nello spettacolo di Mario Perrotta la grande intuizione drammaturgica è la messa in scena non della madre tout court ma della madre come maledizione che passa attraverso le generazioni, una verticalizzazione profonda della questione materna che la psicoanalisi conferma sistematicamente: una donna può vivere in modo libero, creativo, generativo il rapporto con i propri figli solo quando ha fatto il lutto della propria madre.

Massimo Recalcati